Lungo il Canale Cavour – parte quarta (il vercellese)
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Tra Vercelli e il Principato di Lucedio
A questo punto del suo percorso, il Canale è entrato definitivamente nell’area risicola del vercellese. Bellissimo è trovarsi in queste zone a primavera, subito dopo la semina, quando la risaia viene inondata per permettere la germinazione del cereale. Si ha l’impressione di essere di fronte ad un mare, le sole “isole” che si presentano allo sguardo sono le cascine, parecchio lontane le une dalle altre, o le chiese di campagna o i monasteri. Con le prime luci dell’alba o al tramonto lo spettacolo ha un qualcosa di magico o surreale. Da non perdere è, di sicuro, il “Principato di Lucedio” (di cui abbiamo già ampiamente parlato in questo articolo), a poca distanza da Castel Apertole.
Il Cavour, continuando in suo percorso verso nord-est, si incontra prima con la SP30 e la SP18 (da Tronzano a Ronsecco e da Tronzano a Lignana) poi con la A26/A4 (diramazione Stroppiana/ Santhià), per raggiungere San Germano Vercellese, comune attraversato anch’esso dalla Via Francigena.
Di particolare interesse, la torre campanaria, che è ciò che rimane di un antico castello. Poco lontano si trova l’antico paese di Tronzano, risalente a I sec. d.c., che in pieno medioevo (1256), dopo il periodo delle guerre tra guelfi e ghibellini, fu costituito come “Borgo Franco” e il territorio diviso tra gli abitanti, prima servi della gleba poi divenuti liberi e proprietari per i due terzi, e gli antichi feudatari. Di notevole importanza è la biblioteca civica comunale che custodisce ben 14000 volumi.
Gastronomia e dintorni
Piatto tipico, non solo di Tronzano ma di tutta la pianura vercellese, è la panissa, primo piatto a base di riso, da gustare assolutamente in zona. Si ipotizza che il nome derivi da panigo, una antica varietà di miglio usato prima dell’avvento della coltura risicola. È un piatto umile, tipico della realtà contadina i cui ingredienti sono: riso, fagioli (possibilmente la varietà coltivata a Saluggia), vino, lardo, salami della duja (salami di maiale conservati all’interno di otri di terracotta e ricoperti con il grasso del maiale), sale e pepe.
In quest’area, fino al 1960, era abbastanza diffuso l’allevamento delle oche, alimentate a basso costo con i prodotti di scarto della lavorazione del riso, il cui prodotto principale era il piumino e il secondario (non meno importante) era la carne per il prelibatissimo salame d’oca.
In risaia, nel periodo di sommersione, venivano immesse delle piccole carpe che avevano lo scopo di mantenere smosso il terreno. Queste, contenendo lo sviluppo delle erbe infestanti e nutrendosi anche delle larve delle zanzare, aiutavano l’uomo in una sorta di “lotta integrata”. Nel mese di settembre, quando la risaia veniva prosciugata, il prodotto ittico, ormai cresciuto, veniva raccolto e commercializzato, diventando così un ulteriore risorsa per l’agricoltore.
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