Le frisse (o grive): una ricetta contadina tra le pillole gastronomiche

Le frisse (o grive): una ricetta contadina tra le pillole gastronomiche

I contadini di un tempo avevano a disposizione pochi ingredienti per cucinare; utilizzavano prevalentemente ciò che allevavano o coltivavano in casa. Ed è così che hanno avuto origine quelle ricette speciali, oggi sempre più rare perché così poco politicamente corrette, pietanze che magari si preparavano due o tre volte all’anno, a scandire avvenimenti importanti, riti e sequenze del calendario contadino: la mietitura, la vendemmia, il “dì del massacrin” (il giorno in cui si uccideva il maiale), le processioni, la leva, il carnevale…

Tra queste le Frisse o Grive, una fra le tante preparazioni per non sprecare nulla del maiale, dalle origini remote, un salume povero utilizzato per valorizzare i sottoprodotti della macellazione del suino.

Le Frisse erano prodotte soprattutto nel Monferrato, nel Canavese e nelle Langhe dove venivano chiamate Grive perché l’uso abbondante di bacche di ginepro, contribuisce a riprodurre il tipico sapore del tordo della Langa, la griva appunto, che si nutre di queste bacche e ne assorbe il sapore nelle carni.

Sono polpettine realizzate macinando pezzetti di fegato, polmone, frattaglie varie, carnetta e grasso di gola, impastati insieme a cipolla e spezie e avvolte nell’omento (rete) del maiale, per tenere insieme i differenti tipi di carne.

Le Frisse o Grive, prodotte tradizionalmente a livello artigianale e non industriale, sono consumate fresche, fritte in padella, da sole o come componenti del fritto misto alla piemontese.

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